L'anoressia è ancora al giorno d'oggi uno dei principali disturbi del comportamento alimentare, di cui sono affette molte giovani donne. ne abbiamo già parlato più volte, raccontandovi anche la storia di una giovane modella che ha sconfitto l'anoressia.
Oggi, però, vorrei parlarvi del libro “Anoressia. I veri colpevoli”, BookSprint Edizioni che merita veramente d’essere conosciuto e fatto conoscere.
Non è nostra abitudine recensire i libri, ma questo è stato scritto da un collega, il Dott. Lorenzo Bracco, medico e psicoterapeuta, iscritto all'ordine dei medici di Torino ed ha vinto il Premio Cesare Pavese 2013 Medici Scrittori Saggistica, un premio che viene assegnato a letterati e intellettuali capaci di elaborare idee originali che consentono di analizzare, da punti di vista inesplorati, tematiche attuali o storiche. Ed infatti, il Dr. Bracco è riuscito a trovare un nuovo colpevole per quanto riguarda i disturbi del comportamento alimentare ed in particolare l'anoressia.
Ma chi sono i veri colpevoli dell’anoressia?
Come recita la quarta di copertina: "Individuare i veri colpevoli dell’anoressia: una bella sfida. È il primo e necessario passo non solo per curarla, ma anche per prevenirla. Più concause sarebbero a monte di anoressia e disturbi alimentari. Ma siamo sicuri di aver identificato le concause “pietre angolari” dell’anoressia, i veri colpevoli? In caso contrario si rischierebbe di trasformare una concausa in capro espiatorio: ad esempio il rapporto genitori-figli, gettando così l’ombra della colpa sulla famiglia.
Non meno avvincente di una “medical serie” televisiva, questo libro percorre intelligenti piste di indagine che saranno di conforto per chi si trova nel tunnel della colpevolizzazione e che non mancheranno di interessare il lettore capace di vedere nella malattia una manifestazione dell’umana, affascinante avventura del vivere."
Vi lascio di seguito l'intervista che il collega giornalista Dario Voltolini, ha rivolto al dottor Lorenzo Bracco, nella quale lo psicoterapeuta ci riassume quali sono gli studi a cui è giunto e le cause individuate:
Bracco. Sono
particolarmente onorato di ricevere questo premio che riconosce l’innovazione
che si sta portando alla terapia dell’anoressia. Oltre a quanto classicamente
si è già detto riguardo alla famiglia, alla madre, al padre, alla figlia
anoressica e alle dinamiche dei loro rapporti, oggi si aprono nuove prospettive
focalizzate soprattutto sulla terapia del trauma.
Voltolini. Il tema dell’anoressia è di particolare
attualità e, per l’idea che me ne sono fatto, direi che le ricerche
contemporanee sui disturbi alimentari vedono l’anoressia come conseguenza di
più cause, psicologiche, sociali, mediche, nutrizionali.
Bracco. Sono
d’accordo, più cause sono a monte di anoressia e disturbi alimentari. Questo
spiega anche come terapie apparentemente diverse, ma ognuna mirata su una delle
concause, possa interferire positivamente sull’andamento del disturbo. Data la
premessa che più concause sono a monte di anoressia e disturbi alimentari, se
non si identificano veramente tutte le cause si rischia di dare un’importanza
eccessiva a un aspetto che è concausa, ma che non è fondamentalmente “il
colpevole” di tutta la storia. Si rischia di creare colpevolizzazioni che non
sono di alcuna utilità operativa. Ad esempio, famiglie in cui c’è un’anoressica
vengono alle volte colpevolizzate quando in realtà ognuno all’interno di esse,
genitori, figlia, eventuali altri figli, non riesce a comportarsi in modo
diverso senza un aiuto specifico ben mirato. Il paradosso è che la
colpevolizzazione solitamente aumenta ancora di più il comportamento
disfunzionale.
Voltolini. Il libro, pur essendo un trattato
scientifico rigoroso, è scritto in modo tale da essere un’avvincente lettura
per chiunque, condotto come uno dei migliori episodi di una medical serie
televisiva, ad esempio Doctor House, dove il percorso per giungere alla diagnosi
e alla terapia è simile a quello di un detective alla Sherlock Holmes.
L’indagine comincia distinguendo due tipi di anoressia, quella adolescenziale
femminile, che esordisce quando la ragazza arriva all’adolescenza anche se può
ripresentarsi in seguito nell’arco della vita, e un’anoressia indipendente da
sesso e età, che in ambedue i sessi può esordire in qualunque fase della vita.
Limitandoci ora all’anoressia adolescenziale femminile, che è quella in questo
momento di maggior impatto sociale, leggendo il libro di Bracco poco alla
volta, di pagina in pagina, scopriamo come problemi di rapporto, in particolare
quello tra madre e figlia, possono essere conseguenza di una causa traumatica e
come si possa intervenire con una terapia specifica del trauma.
Bracco. Sì,
terapia dei traumi, soprattutto di quelli molto precoci, ovvero quelli avvenuti
tra il concepimento e la nascita e quelli avvenuti nel primo periodo dopo la
nascita. Per sopravvivere a un evento fortemente drammatico quale ad esempio un
distacco di placenta, o un parto distocico, si richiede al sistema
neurovegetativo di questo essere che è all’inizio della vita una risposta di
intensità estrema. Il sistema neurovegetativo così stimolato è molto probabile
che ne resti traumatizzato. Questi traumi, se non curati, lasciano traccia nel
carattere di chi li ha subiti e, come per effetto domino, vengono ad essere
alterate anche le relazioni con il mondo esterno. Come poter pensare che il
rapporto con i genitori, in particolare con la madre, non ne risenta? A questo
riguardo nella mia proposta terapeutica introduco la NARM, ovvero Neuro
Affective Relational Model. È un modello integrato di terapia del trauma delle
età evolutive ideato e messo a punto dal dottor Laurence Heller. Heller anziché
il termine “carattere”, che sottende solitamente un senso di inamovibile
fissità, usa l’espressione “survival style”, che trovo ben più esaustiva e che
di conseguenza uso anche io. Il survival style di una persona si è plasmato per
sopravvivere a uno o più eventi traumatici. Come strategia poteva essere
all’epoca la migliore, ma non è adeguata alla situazione presente della persona.
Nel libro la NARM non è presentata come in una trattazione sistematica, ma
emerge progressivamente nel corso dell’indagine.
Voltolini. La sua formazione sembra tagliata su misura per l’anoressia,
in cui l’aspetto medico, l’aspetto psicologico e l’aspetto nutrizionistico si intersecano
in legami strettissimi in cui bisogna accompagnare con una terapia a tutto
tondo la persona in questione e la sua famiglia in un processo evolutivo.
Per quanto abbiamo
detto finora, si potrebbe pensare che questa indagine sull’anoressia, condotta
con abilità narrativa che rende il libro di piacevole lettura, sia la naturale
conseguenza solo del suo background culturale e della sua pratica terapeutica.
Ma leggendo il suo libro ci si rende conto che oltre a ciò è presentato un
approccio completamente nuovo al tema dell’anoressia. Un’intuizione quasi
casuale mentre stava lavorando ha permesso al dottor Bracco di indagare una
causa che non era mai stata evidenziata prima.
Bracco. Sì.
Sono molto orgoglioso che il Premio Cesare Pavese, sempre attento alle
innovazioni nel campo della ricerca, mi riconosca di avere indicato nuove
prospettive per conoscere e curare questo profondo malessere esistenziale.
Circa vent’anni fa, grazie a un evento fortuito che adesso non racconto per non
togliere il gusto di scoprirlo leggendo il libro, mi resi conto
dell’importanza, come concausa necessaria dell’anoressia adolescenziale
femminile, di una specifica differenza biologica presente tra madre e figlia.
Voltolini. Ma ci dica un po’ di più, siamo troppo
curiosi.
Bracco. Va
bene, racconto la storia un po’ più distesamente.
La cosa che mi è capitata è un pochettino come la mela
caduta sulla testa di Newton. Ecco come all’epoca è nata la storia. Stimolato
da una paziente che voleva avere al riguardo un mio parere, stavo studiando la
dieta dei gruppi sanguigni 0, A, B, AB, di Peter d’Adamo, quando, forse
incuriosito da quanto avevo appena letto, in modo quasi fortuito chiesi il
gruppo sanguigno a una giovane paziente accompagnata dalla mamma. Erano una
madre e una figlia, anoressica anche se non si definiva tale, con problemi
relazionali di lunga data. Molto probabilmente la gravidanza era stata
difficile, una gestazione che non era proprio stata liscia liscia, un inizio
della vita della figlia in questione che appunto non è stato dei più facili. A
questo punto arriva la “mela”, che nel tempo mi si confermerà sempre più essere
una caratteristica costante in tutte queste storie che riguardano le figlie
anoressiche.
Voltolini. Se ho capito bene sta dicendo che tante sono
le figlie che hanno avuto una gravidanza difficile quando erano nella pancia di
mamma ma, senza questa caratteristica costante, questo non basta perché
diventino anoressiche.
Bracco. In
quel momento della storia balenò qualcosa di inatteso. La madre, alla mia domanda
rivolta alla figlia, intervenne con
veemenza: “Non ha il mio gruppo sanguigno!”. “Curioso” pensai, anziché
irritarmi per l’intrusione della madre, e da lì in poi presi l’abitudine di
chiedere a ogni anoressica il gruppo sanguigno suo e della madre. Con mio
grande stupore, la risposta era sempre la medesima. Il risultato negli anni è
stato il seguente: la caratteristica costante è che la figlia in questione non
ha il gruppo sanguigno della propria madre. Ciò mi fu confermato
dall’osservazione di famiglie in cui vi erano più figlie. Stesso padre, stessa
madre, stesso contesto, una sola anoressica: guarda caso la figlia che non
aveva il gruppo sanguigno della madre. La differenza di gruppo sanguigno 0, A,
B, AB, sarebbe quindi una concausa necessaria, anche se da sola non
sufficiente, per lo scatenamento dell’anoressia.
Nei protocolli classici di indagine, oggigiorno il gruppo
sanguigno 0, A, B, AB non compare, neppure, per quanto mi è dato sapere,
riguardo alle anoressiche. Infatti, dopo un exploit nei primi trent’anni dopo
la scoperta dei gruppi sanguigni in cui venivano presi in considerazione nei
protocolli di ricerca più disparati, attualmente, se non vi sono specifici
motivi, quali interventi chirurgici programmati, anemia, eccetera, il gruppo sanguigno
del paziente non necessariamente compare nelle cartelle cliniche, tantomeno
quello della propria madre. Senza questo evento, che io considero una grossa
fortuna, non avrei neanch’io mai preso in considerazione la differenza di
gruppo sanguigno tra madre e figlia nell’anoressia e tutto questo mio studio
non ci sarebbe stato.
Voltolini. Cosa risponderebbe a una donna che le
domandasse: “Se io partorisco una bambina che non ha il mio stesso gruppo
sanguigno, cosa capita?”.
Bracco. Se
partorisce una bambina che non ha il suo gruppo sanguigno: la stessa cosa può
essere vista da due angoli prospettici diversi, con di conseguenza due
risultati completamente diversi. Uno può portare all’aumento di una
conflittualità reciproca madre-figlia che sono biologicamente così diverse. Non
dimentichiamo che per una madre, ad esempio gruppo sanguigno 0, che si trova ad
avere un feto di gruppo sanguigno A dentro di sé, nel caso che il sangue del
gruppo sanguigno A venga a mescolarsi con quello del gruppo sanguigno 0, questo
sarebbe equivalente a una trasfusione sbagliata per il gruppo 0. Una
trasfusione sbagliata può arrivare fino ad essere letale. Non c’è da stupirsi
se, durante la gravidanza, vi sia una
sensazione di grande allarme da parte della madre verso la figlia in questione,
soprattutto se la gravidanza sia caratterizzata da uno o più fatti traumatici.
La compresenza di fatti traumatici slatentizzerebbe la sensazione di allarme
verso il feto di gruppo sanguigno diverso e tale diversità verrebbe ad essere
sentita come traumatica anch’essa. In assenza di eventi traumatici, o
debitamente curati con un’adeguata terapia del trauma se avvenuti, la
differenza anziché essere interpretata come allarme può essere fonte di
ricchezza. In fondo può essere un aspetto molto interessante avere una figlia
così diversa da sé, sperimentare attraverso la figlia delle prospettive così
diverse, quali sono ad esempio quelle del gruppo sanguigno diverso, permettendo
alla figlia di avere dei processi di identificazione in un femminile che sia
diverso dal proprio, nel riconoscimento e nel rispetto della reciproca
diversità.
In altre parole la figlia non è, nel caso dell’anoressia,
una persona che è gratuitamente conflittuale, bensì è una persona che in mezzo
a mille difficoltà sta cercando la propria identità e nel rispetto della
differenza si può favorire la ragazza nella sua ricerca.
Insomma, davvero un nuovo punto di vista per interpretare l'anoressia e complimenti al nostro collega giornalista per l'intervista.
A questo punto però ci sorge un'altra domanda. Il differente gruppo sanguigno tra made e figlia può causare anche obesità? O è legato solo all'anoressia?
Lorenzo Bracco, Anoressia.
I veri colpevoli, BookSprintEdizioni.
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Quella del gruppo sanguigno! Bah! Io ho sofferto di anoressia e ho lo stesso gruppo sanguigno di mia madre, non si può dare la colpa al sangue
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