La relazione fra intestino e cervello, scoperta già 2500 anni fa da Ippocrate, ha assunto, negli ultimi anni, un ruolo predominante negli studi medici, divenendo un tema sempre più analizzato e fonte di nuove scoperte scientifiche.
Nell’intestino risiedono circa 100.000 miliardi di batteri, appartenenti a specie
diverse; questo insieme costituisce il microbiota, ovvero il patrimonio batterico
caratteristico di ogni individuo. “Dal quarto mese di vita il microbiota è specifico per
ogni persona e non c’è organo con il quale il microbiota intestinale non abbia
interazione” – sottolinea il Prof. F. Marotta durante il corso ECM intitolato “Dal benessere dell’intestino a quello dell’organismo: quale ruolo per la medicina integrata?” presso il CAM di Monza
Il tipo di rapporto che si sviluppa tra
l’organismo ospite e i batteri è, infatti, simbiotico, perché entrambi ne traggono
vantaggi.
Al microbiota sono riconosciute diverse funzioni: metaboliche, trofiche e protettive.
Come sottolinea il prof. F. Marotta, però, “la flora intestinale (il microbiota) può
essere alterata da diversi fattori, come l’età, le terapie mediche - in particolare le
somministrazioni antibiotiche-, certe diete, lo stress”. Queste alterazioni
dell’equilibrio intestinale, raggruppate sotto il nome di Disbiosi, spesso portano a
malattie più o meno gravi, che possono addirittura divenire croniche, come
ipertensione, disimmunità, obesità.
È proprio l’obesità e la sua correlazione con una specifica tipologia di microbiota, il
tema principale del’intervento del Prof. L. Drago, il quale specifica che “alcuni
studi hanno evidenziato che il microbiota delle persone obese possiede una
bassa varietà di tipologie di batteri, a differenza degli individui sani, che
possiedono numerosi e caratteristici microrganismi, ed è questa una delle cause
dell’obesità, unitamente alla dieta e alla genetica”.
Sono molteplici le indagini di laboratorio che permettono di diagnosticare la
disbiosi: l’analisi della calprotectina, il test di permeabilità intestinale, il breath test
dell’“overgrowth batterico”, l’analisi delle urine per la presenza dello scatolo e
dell’indacano, che sono, rispettivamente, “un marcatore presente nell’intestino
crasso e un indicatore di disbiosi dell’intestino tenue”, come spiega il Dr. F.
Cavanna.
Attualmente, per fronteggiare le cronicità che un non-equilibrio del microbiota o
una carenza di batteri può creare, si può ricorrere a un’integrazione esterna e
all’uso per esempio di probiotici, microrganismi che esercitano effetti positivi sulla
salute del’individuo e di prebiotici, componenti alimentari necessari nella dieta
affinché alcune colonie batteriche riescano ad attecchire nell’intestino. Non
sempre, però, questi elementi fanno sì che avvenga una colonizzazione batterica
efficace e produttiva per il riequilibrio della flora intestinale. Come rivela, invece, il
Dr. F. Di Pierro, “una delle innovazioni più importanti in questo senso è stato lo
studio che ha permesso di pilotare la colonizzazione intraparto nel nascituro, in cui è stata sfruttata l’occasione del parto, durante il quale la madre passa il suo
corredo batterico al neonato. Fatta questa sensazionale scoperta, si è pensato
di dare i batteri “giusti” alla madre durante la gestazione, per fa sì che il bambino li
ereditasse. Questo processo abbassa, inoltre, l’infiammazione subclinica,
diminuendo il numero di infezioni riscontrate nei primi anni di vita dei bambini. Per
capire quali probiotici dare alla madre, bisogna effettuare diverse analisi e colture:
solo il ceppo “sopravvissuto” sarà quello ideale, sempre che poi attecchisca”.
Tale innovazione ha catalizzato l’attenzione della sala, affollata di medici,
nutrizionisti, biologi e fisioterapisti.
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